Convivenza prematrimoniale: se ne deve tenero conto ai fini dell’assegno di divorzio. Le Sezioni unite della Cassazione, con la recentissima sentenza n. 35385, prendendo atto del mutamento dei costumi inseriscono nel computo della “durata” del matrimonio anche il periodo che precede le nozze laddove si sano state fatte scelte determinanti per il matrimonio stesso.
Il caso
Una donna lamentava l’omessa considerazione da parte del Tribunale nella quantificazione dell’assegno divorzile del periodo di convivenza prematrimoniale, nel quale era nato anche il figlio della coppia. Evidenziava la ricorrente come “non vi sarebbero differenze tra il comportamento dei coniugi nella fase prematrimoniale e in quella coniugale, soprattutto con riguardo alle scelte comuni di organizzazione della vita familiare e riparto dei rispettivi ruoli”.
Anche la Corte di Appello confermava il provvedimento di primo grado sostenendo che “non risultava che ella avesse sacrificato aspirazioni personali e si fosse dedicata soltanto alla famiglia, rinunciando ad affermarsi nel mondo del lavoro”, limitando Il giudizio esclusivamente al periodo di «durata legale del matrimonio» e non anche al periodo di convivenza prematrimoniale «poiché gli obblighi nascono dal matrimonio e non dalla convivenza». Sicché, nel ragionamento del giudice di secondo grado, la donna, all’epoca delle nozze, nel 2003.
La donna ricorreva in Cassazione
La Corte di Cassazione ribalta il ragionamento dei giudici territoriali. Ed invero, ricordano gli ermellini che pur sussistendo nel nostro ordinamento una differenza fondamentale tra matrimonio e convivenza non può sottacersi che gli stessi “sono comunque modelli familiari dai quali scaturiscono obblighi di solidarietà morale e materiale, anche a seguito della cessazione dell’unione istituzionale e dell’unione di fatto”. Non può infatti escludersi che una convivenza prematrimoniale, laddove protrattasi nel tempo (nella specie, sette anni), abbia «consolidato» una divisione dei ruoli domestici. Suddivisione capace di creare «scompensi» destinati a proiettarsi sul futuro matrimonio e sul divorzio che dovesse seguire.
Secondo gli Ermellini non si tratta di introdurre un’anticipazione dell’insorgenza dei fatti costitutivi dell’assegno divorzile. Si tratta, piuttosto, di consentire al giudice una corretta verifica della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento dell’assegno al coniuge economicamente più debole. Ciò nell’ambito della solidarietà post coniugale, tenga conto anche delle scelte compiute dalla stessa coppia durante la convivenza prematrimoniale.
La decisione della Suprema Corte di Cassazione
Alla luce delle argomentazioni sopra rappresentate, gli ermellini affermano che nella determinazione dell’assegno, la Corte d’Appello non ha considerato il contributo al ménage familiare dato dalla donna, anche con il ruolo svolto di casalinga e di madre, durante il periodo di convivenza prematrimoniale (dal 1996 al 2003), continuativo e stabile, nell’ambito del quale era nato anche un figlio.
Principio di diritto
Le Sezioni Unite della Suprema Corte hanno così affermato il seguente principio di diritto: ”ai fini dell’attribuzione e della quantificazione (ai sensi dell’art. 5, comma 6, l. n. 898/1970), dell’assegno divorzile, avente natura, oltre che assistenziale, anche perequativo-compensativa, nei casi peculiari in cui il matrimonio si ricolleghi a una convivenza prematrimoniale della coppia, avente i connotati di stabilità e continuità, in ragione di un progetto di vita comune, dal quale discendano anche reciproche contribuzioni economiche, laddove emerga una relazione di continuità tra la fase «di fatto» di quella medesima unione e la fase «giuridica» del vincolo matrimoniale, va computato anche il periodo della convivenza prematrimoniale, ai fini della necessaria verifica del contributo fornito dal richiedente l’assegno alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno dei coniugi, occorrendo vagliare l’esistenza, durante la convivenza prematrimoniale, di scelte condivise dalla coppia che abbiano conformato la vita all’interno del matrimonio e cui si possano ricollegare, con accertamento del relativo nesso causale, sacrifici o rinunce, in particolare, alla vita lavorativa/professionale del coniuge economicamente più debole, che sia risultato incapace di garantirsi un mantenimento adeguato, successivamente al divorzio».